Il nome

Spazio, stelle e voce.

Vorremmo chiamarci così.
Con tre parole tratte dall’ultimo verso della traduzione che Serena Vitale ha proposto di un testo del poeta russo Osip Mandel’stam che inizia così:

È avvelenato il pane, bevuto l’ultimo sorso d’aria.
Com’è difficile curare le ferite!

Forse mai quel verso è stato tradotto con la profondità e la passione – e una forzatura di genio – che ci ha indotti a usarlo come epigrafe dell’esperienza culturale che vorremmo proporvi.

In un tempo in cui bere l’ultimo sorso d’aria sembra la metafora di una situazione che ci minaccia tutti – e molti ha già raggiunto – e le ferite non si contano più, il rimedio che il poeta martire Mandel’stam ci propone sembra il più proprio, o almeno uno dei più propri: cantare davvero. Cantare col cuore lieto, quasi per restituire al mondo ciò di cui ha fame e sete.

Recita l’ultima strofe:

A cantare davvero
e in pienezza di cuore, finalmente
tutto il resto scompare: non rimane
che spazio, stelle e voce.

Voce indica la voce del lettore che si unisce a quelle di coloro che ogni testo ci permette di incontrare, al canto delle donne e degli uomini che si sono assunti il compito di far giungere fino a noi l’esperienza di gioia, dolore e speranza che li ha fatti grandi.

Mescolando le loro voci alla nostra potremo raggiungere le stelle. Ovvero il cielo, che qualcuno ha identificato con la profondità del cuore dell’uomo: Pasolini, Ungaretti, Giussani, Lorca per non richiamare che i più immediati.

Ma anche scienziati come Freeman Dyson, che ha osato rubare un verso a T.S. Eliot (anche lui, forzandolo un poco) per intitolare la sua strepitosa autobiografia Turbare l’universo. E tanti altri.

Incontrare, forzare un poco, rubare. E cantare in pienezza di cuore per consentire a tutti di riprendere a respirare. Il nostro progetto e il nostro augurio a tutti.